Who By Fire
Elena Ricci
Viasaterna è lieta di presentare la prima mostra personale di Elena Ricci (Roma, 1973),
Who by fire, con una selezione di lavori realizzati con tecniche pittoriche diverse e in
momenti distinti, che si concentrano sulla matrice d’origine del frammento fotografico.
Who by fire è il titolo di una canzone di Leonard Cohen, ispirato a una poesia liturgica ebraica antica che, come l’omonimo dipinto in mostra, “narra la precarietà della condizione umana rispetto alla violenza di un fuoco divampante che fa esplodere il paesaggio al punto da rendere la natura non più fisiologica ed organica, ma elevata cosmologia metafisica”, come suggerisce Fabio Carnaghi nel testo critico. Ricci inizia il suo lavoro da questa indagine umana, raccogliendo fotografie di archivi di guerra o trovate per caso, di autori ignoti della prima metà del ‘900. I loro soggetti vengono decontestualizzati e restituiti in pittura come archetipi e simboli che attingono alla sfera del mito, figure solitarie di sciamani, soldati, esseri in bilico tra mondo reale e mondo magico.
L’unico indizio del rapporto con la fotografia è rintracciato nelle chine che ricalcano l’immagine latente del negativo, mantenendone il carattere bi-cromo. L’interesse per la figura è invece rivelato con la tecnica a olio, spesso posta in rapporto ad uno sfondo indefinito, liquido, dai limiti e dagli orizzonti accennati e di cui sono protagonisti i colori brillanti. Un ulteriore passo verso l’astrazione viene compiuto con i pastelli in cui anche i soggetti tendono a scomparire, i paesaggi appena sottesi e sospesi nella forma circolare, che come un obiettivo racchiude l’immagine. Un’antica tecnica quella del pastello a secco, apparsa nella prima metà del 1500 e dedita soprattutto al ritratto, anche se l’esito per l’artista è una elaborazione priva di rigida determinazione che gioca con il medium e l’indice delle sue sfumature.
Who by fire è il titolo di una canzone di Leonard Cohen, ispirato a una poesia liturgica ebraica antica che, come l’omonimo dipinto in mostra, “narra la precarietà della condizione umana rispetto alla violenza di un fuoco divampante che fa esplodere il paesaggio al punto da rendere la natura non più fisiologica ed organica, ma elevata cosmologia metafisica”, come suggerisce Fabio Carnaghi nel testo critico. Ricci inizia il suo lavoro da questa indagine umana, raccogliendo fotografie di archivi di guerra o trovate per caso, di autori ignoti della prima metà del ‘900. I loro soggetti vengono decontestualizzati e restituiti in pittura come archetipi e simboli che attingono alla sfera del mito, figure solitarie di sciamani, soldati, esseri in bilico tra mondo reale e mondo magico.
L’unico indizio del rapporto con la fotografia è rintracciato nelle chine che ricalcano l’immagine latente del negativo, mantenendone il carattere bi-cromo. L’interesse per la figura è invece rivelato con la tecnica a olio, spesso posta in rapporto ad uno sfondo indefinito, liquido, dai limiti e dagli orizzonti accennati e di cui sono protagonisti i colori brillanti. Un ulteriore passo verso l’astrazione viene compiuto con i pastelli in cui anche i soggetti tendono a scomparire, i paesaggi appena sottesi e sospesi nella forma circolare, che come un obiettivo racchiude l’immagine. Un’antica tecnica quella del pastello a secco, apparsa nella prima metà del 1500 e dedita soprattutto al ritratto, anche se l’esito per l’artista è una elaborazione priva di rigida determinazione che gioca con il medium e l’indice delle sue sfumature.