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Una gita da Guido Guidi qualche anno fa.
2 febbraio 2025


Partiamo da Milano la mattina per l’Emilia-Romagna per incontrare Guido Guidi, il maestro fotografo-topografo-storico dei nostri paesaggi contemporanei.

La precisione del laser, la meticolosità e la pazienza dell’artigiano nel leggere le nostre città non-città, le nostre campagne non-campagne, e l’ossessione del tempo dello scatto, perché una luce, una geometria, un’assenza vissuta possano emergere.

Dove vivrà questo mago umile e ironico?

Non conosco il posto dove vive Guido con sua moglie e neanche proprio l’Emilia-Romagna.

Abbiamo indicazioni precise, usciamo dall’autostrada a Cesena. Siamo in una campagna un po’ piatta, un po’ spoglia, almeno così la ricordo: campi, alberi disturbati da villette umili, da villaggi senza pretesa, da questa autostrada un po’ fuori posto, fuori scala. Una campagna piena di toppe varie, disarmonica ma accogliente a modo suo nell’accettare le iniziative scombinate dei suoi abitanti e trasmettere un’aria di tranquillità.

Lasciamo la strada asfaltata girando su uno sterrato che ci porta lungo una giungla di alberi di cachi, spettinati, fitti, dimenticati.

Lo sterrato è lungo, così mi ricordo, ci viene il sospetto di aver sbagliato strada.

Ma finisce proprio sull’angolo di una casa semi seppellita da alberi e cespugli disordinati, un po' selvaggi. Sembra chiusa questa casa dai muri slavati, non sentiamo rumori se non l’eco smorzato dell’autostrada della quale si indovina la presenza dietro alla vegetazione, in lontananza.

Ma c’è una macchina parcheggiata davanti alla porta del garage, di quelle macchine senza età che si vedono nelle campagne, macchine amate, robuste e sbiadite. E c’è un segnale stradale posato sull’erba lì – un cerchio di metallo blu con una grossa freccia bianca - che sembra indicare dove trovare l’entrata di questa casa, sul lato lungo.


Intravediamo una rete metallica anche lei molto vissuta e facendo qualche passo lungo la facciata seguendo la freccia scopriamo una presenza, un cane lupo amichevole che gira nel suo recinto, abbaiando, salutando.

Mi tornano in mente le foto e racconti della casa di Louis-Ferdinand Celine a Meudon, casa un po’ vetusta ma graziosamente signorile sepolta nel verde di un giardino lasciato a sé stesso, una casa che tiene le distanze con i visitatori.

Ma qui siamo in campagna, è tutto più semplice, più rustico, più accessibile.

Guido e sua moglie hanno sentito il cane, e abbiamo bussato forte sulla porta d’entrata: Guido si affaccia col suo sorriso gentile un po’ beffardo, entriamo.

La stanza è piuttosto grande ma stretta, lunga e rettangolare, stracolma di pile di scatole di archivi, di armadi metallici, con un tavolo grande che fa da banco dietro al quale si siede Guido. Ci sediamo davanti a lui chiacchierando, dietro di noi un divano sfondato protetto da una tavola di legno (c’è una perdita d’acqua sopra). Alle spalle di Guido gli armadi metallici sono coperti di disegni di bambini – gli amati nipotini – ma anche di appunti di Guido, tutto tracciato con la matita grassa.

E saremo lì per ore, a sentire racconti, progetti, a guardare le foto che Guido tira fuori a supporto delle sue storie.

Siamo immersi nel mondo di Guido Guidi, nel suo racconto del territorio, nella sua estetica esigente, paziente, colta e folgorante.

Andremo a pranzo fuori nel suo circolo-trattoria dove il maestro Guido è anche un vecchio amico di tutti, con le sue abitudini.

Questa casa, questa campagna ci hanno stregati.


Catherine Vautrin


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